Bootleg… è così che si definisce il vinile/cd contenente per lo più registrazioni dal vivo, catturate furtivamente dai mixer o dal pubblico ed immesse nel mercato dei compratori di dischi.
Il bootleg appartiene ad un mercato discografico parallelo, molto diffuso tra gli anni settanta e ottanta, che negli anni novanta, ha trovato una sorta di ‘estinzione’ quasi naturale.
Il bootleg ha incontrato nella tecnologia tradizionale di cattura dell’audio e del video, un ottimo veicolo di diffusione, ma con l’arrivo dell’era multimediale digitale, sopratutto quella di diffusione di contenuti su internet, si è piano piano defilato a prodotto di nicchia specifico per collezionisti.
Oggi sul mercato si trovano uscite discografiche ufficiali, ma anche interessanti uscite non ufficiali, abbiamo YouTube ed altre piattaforme per ascoltare concerti e brani inediti, ed abbiamo molteplici formati digitali per diffondere musica sul web. La ricerca spasmodica del pezzo raro quindi non ha più supporto fisico, come negli anni settanta, ottanta e parte dei novanta; scambio e distribuzione risultano più semplici.
Il bootleg è nato su vinile, confezionato con un artwork elementare, con pochissime informazioni, e contenente prevalentemente registrazioni, anche di bassa qualità, di esibizioni dal vivo, senza sovraincisioni, con rumori ambientali più o meno invasivi, con sequenze audio che nei live ufficiali, venivano “trattate” per rimanere nascoste all’ascoltatore.
Il bootleg rimane quindi, ancora oggi, un oggetto per coloro che vogliono tutto e di più del loro artista preferito, alla ricerca continua di rarità che nelle uscite ufficiali sono difficili da trovare.
Ma il bootleg oggi ha ancora senso?! Si può tranquillamente dire che la rete offre infinite possibilità per lo scambio di quello fisico e altrettante possibilità per diffondere quello più recente digitale: nonostante tutto, il concetto è diverso e probabilmente è destinato a rimanere legato al passato.
I Bootlegs Series di Bob Dylan, i Dick’s Pick dei Grateful Dead, i più recenti Official Bootlegs dei Pearl Jam, sono tra i tanti esempi di artisti che trasformano le loro esibizioni live, spesso riprodotte illegalmente, in dischi ufficiali per i fan più accaniti, “impoverendo” così il mercato parallelo dei bootleg veri e propri. Oggi con le operazioni discografiche di remastering e di “espansione” delle versioni Deluxe, molti di questi concerti e rarità diventano ufficiali …
E allora oggi i bootlegs hanno ragione di esistere ancora?! Hanno un loro mercato?!
The Garden Tapes dei Led Zeppelin è uno di quei bootleg che tutti gli amanti del rock vorrebbero avere nella loro collezione. Parliamo di un box con ben 18cd e un dvd delle serate che il gruppo di Jimmy Page tenne a New York, al Madison Square Garden, nel luglio del 1973.

Si può trovare ad un prezzo di circa 500 euro su internet; anche se non è pubblicazione ufficiale del gruppo, il bootleg in questione può essere definito un approfondimento di buona qualità delle tre serate di concerto dalle quali i Led Zeppelin hanno costruito la tracklist di The Song Remains The Same, primo disco dal vivo della band, sempre definito poco genuino, nonostante sia un bellissimo lavoro, per la presenza di alcune socraincisioni.
The Garden Tapes, può essere considerata un’opera di raccolta “alternativa” del lavoro dal vivo del gruppo inglese inciso poi su disco, che nel mercato dal quale attingono i fan collezionisti, ancora oggi trova offerta a prezzi comunque abbastanza proibitivi.
I Fruitlegs degli U2 sono invece un’altra tipologia di bootlegs; sono stati realizzati sulla scia dell’uscita ufficiale di Melon, album di remixes dell’era Zooropa e Achtung baby, destinato al fan club del gruppo “Propaganda”. I Fruitlegs portano i nomi di frutti, tra i quali more Melon, Kiwi, Banana, Apple, Lime e tanti altri; coprono una bella fetta di discografia dei quattro irlandesi con remix ufficiali o non dei loro brani. Il prezzo di alcuni di questi bootleg, collezione di soli remix, è sopra la media.

I Pink Floyd hanno aggredito invece il mercato dei bootlegs nel 2016 con un’uscita discografica intitolata The early years 1965 – 1972, raccolta mastodontica tra live e registrazioni inedite contenute in 28 cd e lo faranno di nuovo con la prossima uscita prevista per questo autunno ed intitolata The later years 1987 -2019 con più di tredici ore di materiale inedito, il live di Venezia del 1989 e quello di Knebworth del 1990. Opere che racchiudono gli inizi e la fine della storia del gruppo britannico, ufficializzando così gran quantità di materiale inedito e live, già conosciuto nei circuiti dei bootlegs dai fan più incalliti. Queste uscite sembrerebbero completare le Immersion Edition del loro periodo storico centrale più prestigioso, anch’esse con materiale appetibile si collezionisti.

Potremo continuare a parlare ancora per ore di questo argomento; i Pink Floyd non sono gli unici artisti che hanno adottato la politica della pubblicazione di opere di approfondimento con live e rarità già conosciute tra gli amanti del bootleg; vedi i box di David Bowie, le corpose uscite dei King Crimson, le From The vault dei Rolling Stones e così via …
Il bootleg è morto dunque?! Il bootleg é il bootleg, sopravvive e sopravviverà alle logiche discografiche, non morirà visto che esiste e viene ancora scambiato; è fisico, ha un suo mercato e ripercorre comunque un momento storico di un determinato artista, che non è detto sarà ufficializzato, ma che artisticamente, a volte, custodisce le cose migliori più apprezzabili.